Il pomeriggio di venerdì 27 ottobre è dedicato interamente all’incontro dei delegati con 25 esperienze di buone pratiche, scelte a Cagliari e nelle immediate vicinanze grazie al Comitato diocesano per le Settimane Sociali.
Partenza in pullman, ciascuno dal proprio albergo, alla volta di cantine e comunità educative, cooperative sociali e centri di ricerca, lavanderie e start up digitali. Minimo comun denominatore di queste realtà, la presenza di pratiche di sostenibilità a 360°, per creare un “paniere” di esempi virtuosi e replicabili e generare nuovi approcci al mondo del lavoro.
Sono 542 le buone pratiche aziendali, amministrative e formative mappate in tutta Italia dai 200 volontari del progetto “Cercatori di LavOro”, realizzato a partire da gennaio 2017 grazie alla partnership di NeXt Nuova Economia X Tutti, CEI e del Progetto Policoro.
Dopo un’attenta analisi delle pratiche segnalate, 402 sono emerse come “realmente sostenibili”. Di queste, 309 provengono da realtà imprenditoriali, 40 dal mondo della scuola e 52 dalla pubblica amministrazione più in generale.
Ecco alcune delle storie sarde con cui si sono incontrati i delegati, raccolte dagli inviati dell’agenzia Sir.
HubSpoke: uno spazio per crescere insieme
HubSpoke è lo spazio di coworking nel centro di Cagliari. Attualmente in un’area di 1500 mq ospita 90 postazioni lavorative fornendo uno spazio operativo e una community con cui poter scambiare idee ed esperienze lavorative tra imprenditori, freelance e startupper. A presentarlo il fondatore, Filippo Campio, che ha parlato del coworking come “luogo dove c’è maggiore prosperità”. HubSpoke “fornisce servizi all inclusive con costi contenuti” creando “complementarietà tra professionisti”, “crescita professionale” e “condivisione della conoscenza tra imprenditori”. Inoltre si fa prototipazione, unendo ricerca e sviluppo. Sono 30 le società che ci lavorano da almeno da due anni all’interno. HubSpoke continua a crescere e presto avrà 8/10 uffici anche perché ha spiegato Campio – “secondo gli esperti il 40% del lavoro in futuro pare sarà freelance”. (Alberto Baviera)
JService: a servizio dell’impresa che cambia
All’interno di HubSpok una delle realtà operanti è JService, “customer experience studio” che affianca le aziende nella loro trasformazione digitale. Fondata 20 anni fa da 3 soci, oggi può contare su 4 socie e 25 collaboratori. “Contiamo di arrivare entro fine anno a 28”, ha spiegato il fondatore, Alessandro Magnozzi. Dalla nascita, JService ha sviluppato 500 progetti per 200 clienti, tra cui anche aziende nazionali e internazionali. “La nostra vision – ha aggiunto – è rendere le persone felici”. Ci provano, facendo sì che “i clienti possano usufruire dei servizi in maniera semplice”. La società è andata crescendo e ha aperto sedi prima a Milano poi a Cagliari. Ce n’è una commerciale anche a Londra. Magnozzi ha concluso con una considerazione: “L’impresa è vita, per questo vogliamo crescere”. Per dare sostanza all’affermazione ha citato un numero: “L’80% di chi ha lavorato con noi, ha messo su famiglia e ha avuto figli. Questo è il motivo per cui l’impresa va difesa”. (Alberto Baviera)
Ucid: imprenditori non si nasce
Un investimento sul futuro è quello rappresentato dalla “Scuola di formazione all’imprenditorialità per giovani” promossa dall’Ucid di Cagliari (Unione cristiana imprenditori dirigenti). Rivolta a giovani tra i 20 e i 30 anni, “è un’esperienza che – ha spiegato il presidente Enrico Orrù – verrà replicata a livello nazionale proprio perché è finalizzata a capire la capacità imprenditoriale dei giovani e non l’idea imprenditoriale”. “L’idea è quella di non ricorrere ad una formazione formale o tecnica ma ad un accompagnamento dei giovani per far loro capire se hanno la volontà per portare avanti un progetto fiscale”. Anche l’arcidiocesi è coinvolta, fornendo per brevissimo tempo alcuni locali per dare avvio alle imprese. In questo ambito è nato per esempio il progetto della “parrocchia cardioprotetta” della Nova Medical: a seguito del decreto Balduzzi, le parrocchie della diocesi di Cagliari verranno dotate di un defibrillatore semiautomatico e si provvederà alla formazione di personale per il suo utilizzo. “Si inizia con le parrocchie cagliaritane – è stato spiegato – poi si passerà a quelle sarde e al resto d’Italia”. (Alberto Baviera)
Il sicomoro: per un mondo senza confini
Sant’Eulalia è un gioiello del gotico aragonese, nel cuore del quartiere della Marina, polmone borghese di Cagliari le cui origini risalgono all’epoca punico-romana, come racconta il Museo del tesoro e l’area archeologica adiacenti, gestiti dalla cooperativa “Il sicomoro” (www.coopilsicomoro.com). In quella che era un tempo la cittadella del porto, e che tuttora è l’apertura di Cagliari verso il mondo, “si vive di una continua contaminazione storica”, racconta ai convegnisti della Settimana sociale don Marco Lai, che da sette anni è tornato, da parroco, nella chiesa in cui era stato molti anni prima viceparroco. Oggi la Marina è un quartiere multietnico, con una percentuale alta di stranieri che vanno dall’Est dell’Europa al Medio Oriente, passando per l’Africa e per l’India. Per loro, è nata un scuola di insegnamento di italiano per migranti, gestita dalla parrocchia attraverso l’associazione Co.Sa.S (Comitato sardo di solidarietà). Non solo: di fronte alla chiesa è nato un luogo di culto musulmano, e il venerdì la piazzetta davanti alla chiesa è condivisa tra parrocchiani, abitanti del quartiere e circa 400 musulmani. La parola d’ordine, spiega don Marco, è equilibrio: “da quando sono qui, non ho mai visto un problema di tensione sociale tra i residenti”. “Equilibrio miracoloso”, aggiunge il parroco pensando ad alcune zone della parrocchia in cui i musulmani, non solo sunniti ma anche sciiti, vengono ospitati per le loro celebrazioni, grazie ad un oratorio trasformato per l’occasione con tende e tendoni. Nel territorio parrocchiale ci sono altre sette chiese aperte e funzionanti, dove si accolgono le chiese sorelle ortodosse: la vicina chiesa del Santo Sepolcro è retta dal patriarcato rumeno, e il viceparroco di Sant’Eulalia è un prete cattolico ucraino di rito orientale. “Una parrocchia al plurale, per un mondo senza confini”, chiosa don Marco. (M. Michela Nicolais)
Mamoiada: un museo per raccontare il territorio
Tre giovani rientrati dall’estero per scommettere sulla loro terra e sulle sue tradizioni, un progetto comune: allestire un museo che riaccendesse l’interesse per il territorio di Mamoiada, in provincia di Nuoro. È l’esperienza della cooperativa Viseras, realizzata da Rita Mele assieme a Mario e Gianluigi Paffi. Dal loro impegno è nato il “Museo della Cultura e del Lavoro” nella località in passato al centro delle cronache per faide e omicidi. “Fino a qualche anno fa l’accoglienza era limitata, perché non c’era un’offerta turistica. Adesso viene offerto un centinaio di posti letto dalle famiglie e dai bed and breakfast”, racconta Mele. La struttura, nata nel 2001, ospita maschere contemporanee in legno. Forme che nascono da tradizioni locali e non solo. Alcune provengono anche da diversi Paesi del Mediterraneo.Un’altra ala del museo presenta un carattere etnografico e racconta la storia della Sardegna, con i suoi elementi caratteristici, dalla cucina ai costumi. Una mostra interattiva che nell’ultimo anno ha accolto 23mila visitatori. La narrazione della storia del territorio è affidata ad alcune sagome di persone, che, premute, avviano il racconto. “Il turismo culturale ci ha aiutato a rinascere – racconta Mele -. Abbiamo scommesso sul nostro territorio e il progetto ha dato ragione alle nostre attese”. L’itinerario non termina all’interno dello spazio espositivo. Continua con le visite alle botteghe degli artigiani della zona che spiegano la lavorazione della maschera e, poi, ai siti archeologici. “Abbiamo realizzato audioguide in 4 lingue e anche un’app – sottolinea Mele -. Vogliamo offrire qualcosa che si vive ancora nel nostro Paese e vogliamo farlo in modo innovativo”. (Filippo Passantino)
Sos spigolatores: qui si recupera la persona
“Sos spigolatores”, in sardo: gli spigolatori. Si intitola così il filmato girato da Progetto H (www.progettoh.it) per celebrare i 30 anni di attività – oggi sono 34 – della cooperativa sociale che nasce a Macomer nel 1983 con il preciso obiettivo di assicurare un reale inserimento lavorativo ai soggetti svantaggiati e/o portatori di handicap, altrimenti emarginati dalla produzione per condizioni soggettive e quindi esclusi dal contesto sociale. Macomer, Bonorva e Bosa Marina sono i tre centri in cui i disabili psichici adulti vengono accolti e inseriti in un processo di recupero che va dal reimparare i gesti quotidiani più semplici fino al recupero della capacità di lavorare, con occupazioni che spaziano al giardinaggio alla pelletteria, passando per il servizio alle mense e la ristorazione. “Ripensare al passato ripensando il futuro”, lo slogan delle attività di Progetto H, presentate ai delegati della Settimana sociale di Cagliari per documentare la storia di una comunità per disabili diventata una vera e propria impresa sociale, con 120 buste paga. Il segreto? “Trasformare la conoscenza in collaborazione”, spiegano i responsabili. “Prima di arrivare qui – racconta uno degli ospiti – facevo anche tre ricoveri all’anno in psichiatria: da quando sono qua, non ho avuto più un ricovero, in nove anni. Nei reparti di psichiatria ci sono i pazienti gravissimi: non si cura. Qui si recupera la persona. Certo, ci vuole tempo. Perché ogni persona ha una storia a sé”. (M. Michela Nicolais)