I Gruppi: le sfide dell’innovazione

28/10/2017
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Oggi, nel mondo del lavoro, dobbiamo fare i conti con la “macchina sapiens”, che “interagisce con l’uomo e supera il modello del mero determinismo”. Lo ha detto padre Paolo Benanti, docente alla Pontificia Università Gregoriana, intervenendo alla tavola rotonda su “Il senso del lavoro umano e le sfide dell’innovazione”, in corso nella terza giornata della Settimana sociale di Cagliari. “Alla classica distinzione tra naturale e artificiale – ha spiegato – si affianca oggi l’introduzione dell’elemento sintetico, che è la categoria dove si collocano l’intelligenza artificiale e le macchine automatiche”. La “macchina sapiens”, ha fatto notare Benanti, “si adatta, evolve, muta, così come l’ho sapiens ha fatto fino adesso. Non solo: legge la realtà, la racconta e così ci fa stare insieme in maniera differente”. Negli Usa, uno dei dati citati dal relatore, “un’intelligenza artificiale media produce una diagnosi medica migliore di un medico medio”. E’ la “nuova materia del lavoro sui dati”, che fa sì che “più si lavora sui dati, più una serie di lavori saranno svolti meglio non dall’uomo ma dalle macchine”. Il lavoro sui dati, in altre parole, “supporta i sistemi informatici che lavorano meglio e con meno costi”: in questo modo, il grido d’allarme, “i lavori meglio pagati rischiano di scomparire dal nostro sistema sociale”. E’ questa, per Benanti, la “prima questione” da affrontare, per capire l’impatto e la portata delle innovazioni tecnologiche sul lavoro. La proposta è quella di “impostare le traiettorie delle trasformazioni”, scongiurando il rischio che “certe decisioni, fino ad ora affidate all’uomo, vengano affidate alle macchine in nome di un’efficienza produttiva”.​

Un “patto intergenerazionale”, a partire dalla “funzione sociale” del lavoro. Ad invocarlo è stata Annamaria Furlan, segretaria generale della Cisl, durante la tavola rotonda in corso a Cagliari su “Il senso del lavoro umano e le sfide dell’innovazione”. “Ritrovare il senso sociale del lavoro”, la proposta: “lavoro per i nostri giovani e per chi oggi ha tra i 50 e i 60 anni, entrambe categorie che rischiano di diventare in tempi molto brevi le prime vittime del cambiamento”. “Il tema della conoscenza – la tesi della Furlan – è il vero futuro del lavoro”, sia per i giovani che per gli anziani: di qui la necessità di chiedersi “cosa significa immaginare i percorsi formativi e come coniugarli con le imprese”. “Se dotiamo uomini e donne di competenze che offrono la possibilità di partecipare a creare lavoro, partendo dalla funzione sociale di quest’ultimo, produciamo una ricchezza che attraverso la partecipazione, l’equità e la giustizia diventa fonte di benessere per un popolo”, ha assicurato la segretaria generale della Cisl, che si è soffermata anche sul tema dell’inclusione, obiettivo essenziale da porsi in un momento in cui “vediamo qualche barlume di uscita dalla crisi”. Inclusione, ha spiegato Furlan, è anche “ius soli, o meglio ius culturae, che attraverso il riconoscimento della cittadinanza ci porti a guardare al futuro in modo più inclusivo”.

Il “made in Italy” di qualità è “in crescita sui mercati internazionali”. A fornire il dato, è stato Stefano Miceli, docente all’Università di Venezia. “Il nuovo made in Italy – ha spiegato l’economista d’impresa – ha abbandonato l’economia di scala per orientarsi su un’economia di  qualità e di personalizzazione”. Di qui l’impiego di “macchine su misura” in campi come la moda, il design, il cibo, settore quest’ultimo che è quello che “è cresciuto di più in questi anni di crisi”, soprattutto nel comparto vinicolo. Questo tipo di “made in Italy”, ha fatto notare l’esperto, “non può fare eccessivo riferimento all’automatizzazione aziendale, perché si fonda sul lavoro umano consapevole, sul fattore uomo che non si può eliminare perché è alla base del miglioramento continuo del prodotto”. “La manifattura ad alta intensità culturale – la tesi dell’economista – è il modo più virtuoso con cui noi italiani facciamo tecnologia dei mercati. Si tratta dell’unico settore che, in Italia, ribalta la produttività sul lavoro. Il made in Italy non è solo tecnologia, è un modo di lavorare, una sensibilità estetica, erede della grande artigianalità italiana, con cui incrociamo il mondo: è l’unico tipo di lavoro capace di tenere insieme manualità e digitale, capacità di crescita e prosperità della classe media”.

“Riformulare i diritti della persona del lavora, comunque lavori”. E’ questa la direzione su cui stanno orientando la loro riflessione i giuristi di tutto il mondo. Lo ha detto Tiziano Treu, presidente del Cnel. “I lavoratori della ‘gig economy’ – ha spiegato l’ex Ministro – sono un esempio di come il lavoro si stia frantumando, ma anche potenzialmente arricchendo. Oggi in tutto il mondo i giuristi si stanno interrogando su come dare risposti ai lavoratori digitali, nell’orizzonte di una nuova stagione di diritti fondamentali”. “Se vogliamo interrogarci sul senso del lavoro a partire dal rapporto con le nuove tecnologie, dobbiamo cominciare ad orientare risorse in questa direzione”, la proposta, ad esempio verso i “lavori green”, legati all’ecologia, e a quelli “white”, cioè i lavori di cura e di manutenzione dell’ambiente, che “sono destinati a diventare sempre più importanti”. Altra proposta di Treu per affrontare le sfide dell’innovazione, quella della “staffetta generazionale” tra i lavoratori, grazie alla quale “i lavoratori anziani siano incentivati a stare nei luoghi di lavoro continuando a qualificarsi, e i giovani siano aiutati e accompagnati da loro nei percorsi di ingresso e di avviamento”. “L’impatto dell’innovazione nel mondo del lavoro è molto incerto, ma non è determinato”, la tesi di Treu, secondo il quale “l’innovazione non è solo una grande potenzialità della tecnica, ma è anzitutto una ‘forma mentis’, un modo di vedere il futuro: è su questo che dobbiamo lavorare”.​

(www.agensir.it)