Ci deve creare “disagio”, “deve farci vergognare lo scoprire dentro di noi il desiderio che l’altro non ci sia, il fare di tutto perché l’altro scompaia dal mio orizzonte! Soprattutto se l’altro è lo straniero o se l’altro ha il volto dell’uomo o della donna che domandano in maniera insistente per sé dignità attraverso il lavoro”. Lo ha affermato questa mattina mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, durante la celebrazione che ha presieduto al santuario di Nostra Signora di Bonaria, a Cagliari, in apertura della giornata conclusiva della 48ª Settimana sociale dei cattolici italiani. Questo “disagio”, questa “vergogna” coinvolge tutti, ha proseguito Galantino. “Soprattutto chi di noi ha responsabilità particolari – ha aggiunto – non può sottrarsi” al comando “non molesterai il forestiero né lo opprimerai”. Richiamando il versetto del Salmo “Ti amo, Signore, mia forza!”, il segretario generale ha osservato che “è un’invocazione che contiene un impegno dal valore particolare”, soprattutto oggi “in una società come la nostra, fortemente ripiegata su se stessa e nella quale anche termini di per sé positivi (per esempio, ‘globalizzazione’) possono nascondere progetti di sfruttamento”. “Una società – ha rilevato Galantino – nella quale si fa fatica a far emergere segnali di vera solidarietà” soprattutto “nei confronti di quanti faticano a trovare un lavoro e un lavoro dignitoso”. Ciò che “veramente conta ed è importante” – ha affermato il segretario generale – è “l’amore”. Quello a Dio e al prossimo, “sono i due momenti di un unico impegno ed è ciò che oggi, non solo dobbiamo domandare per noi, ma è anche ciò su cui dobbiamo verificarci/esaminarci”. “Quante parole senza amore che impegna. Quante liturgie – anche – senza un amore che si spende davvero”, ha ammonito. Si tratta di un impegno personale e comunitario. “Le nostre organizzazioni – tanto e per tanti versi benemerite – forse hanno bisogno di smettere i panni comodi di interessi talvolta malamente camuffati. Panni confezionati ad hoc e sulla misura sempre degli stessi personaggi”. Perché “l’amore di Dio e del prossimo si sviluppa e cresce quando circola aria nuova, soprattutto quando circola aria pulita, quella che ha lo sguardo e l’orizzonte di Dio e non quello asfittico dell’interesse e dell’autoreferenzialità che, il più delle volte – anzi sempre – si tengono in piedi in maniera indebita”.
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