Lo scrivo da Teramo, a circa 125 miglia da Roma, domenica 22 marzo, il secondo giorno di primavera e il 15 ° giorno della quarantena italiana. La nazione è diventata uno spazio interdetto. Tutte le scuole sono chiuse, così come cinema e teatri, bar e ristoranti e molto altro; le strade vuote evocano immagini da film apocalittici. Le persone non possono incontrarsi, non possono visitare i loro genitori anziani. Quando usciamo per comprare le necessità, camminiamo sui lati opposti della strada, abbassando gli occhi e sentendoci in colpa. C’è una pervasiva sensazione di profonda tristezza, ma anche, forse, la volontà di rendere questo atroce momento di isolamento sociale un’opportunità per recuperare la propria autentica umanità.
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di Flavio Felice
Professore ordinario, storia di dottrine politiche, presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche, Sociali e della Formazione (SUSeF) dell’Università del Molise e membro del Comitato Scientifico Settimane Sociali