Virgili: “Dio si fa corpo attraverso il lavoro di una donna”

28/10/2017
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“Dio si fa corpo attraverso il lavoro di una donna: Maria, lei chiamata da un’antifona antica: dignitas terrae, Sabato di Dio”. A farlo notare è stata Rosanna Virgili, nella meditazione biblica con cui si è aperta la terza giornata della Settimana sociale. “Lavoro di grazia, fuori da ogni possibile logica di “prestazione”, ha commentato la biblista a proposito del ruolo della donna nel racconto della Genesi: “L’umanità ha, adesso, in mano il ‘seme’ dell’opera di Dio e può decidere: se usare il lavoro per produrre un idolo di sé stesso, vendendo e comprando – oppure per coltivare e custodire il giardino globale – e donato – della vita: la terra che è di Dio, quindi di tutti”. “Il teatro dell’incarnazione è quello della storia”, ha affermato Virgili, in cui “il lavoro sarà la facoltà più decisiva, pari quasi a quella di Dio”. “Facciamo l’essere umano” , disse Dio il sesto giorno, “frutto finale del suo lavoro libero e creativo”: il Dio creatore “si rivela Comunione, primigenia Trinità”, ha commentato la biblista, “tanto che l’opera fatta a sua immagine e somiglianza è proprio la creatura sessuata: ‘maschio e femmina li creò e Dio vide che era cosa bella’”. Nella prospettiva biblica, quindi, “la vita è un lavoro d’amore, e “la natura cooperativa dell’opera di Dio è un messaggio importante per l’uomo: nessun lavoro si fa da soli, ma sempre: in ‘due o più’; questo criterio animerà anche l’opera di salvezza di Dio per Israele e quella di Gesù verso la Chiesa: nel primo caso Dio chiamò Mosè come suo primo collaboratore; nel secondo Gesù chiamò dei pescatori, delle donne e persino qualche buon pubblicano peccatore”. “Il lavoro chiede di provare e riprovare, vuole le braccia e l’intelletto, il cuore e la ragione critica ed auto-critica”, ha fatto notare la biblista: “Perfino da parte di Dio. Vedendo Adam chiuso alla vita, lo abbraccia e lo riapre, rubando l’intimo segreto di quel fango insufflato di spirito, per fabbricare la donna. La donna è la ‘costruita’ e la costruttrice (di figli): nella sua matrix il brand della creatura: una goccia di sperma che in lei si trasforma in 248 diverse membra del corpo!”. Alla donna, così, spetta “il sublime destino di raccogliere il testimone del Creatore: la ‘fabbrica’ della vita, opera somma, a cui la fatica dell’uomo si appaia e si unisce: il frutto del sudore dell’uomo, servirà a sfamare i bambini! Ed ecco la vocazione della madre e del padre: partorire figli – l’una – far partorire la terra, l’altro, per nutrire il futuro, per aprire spazi a quei processi ignoti di vita che sono i figli. Nel Nuovo Testamento Dio stesso si farà “figlio”.

“Chi non ha lavoro è come morto – ha affermato ancora -.  “Non ha più spazio Abele perché Caino ha posto su di esso un titolo di proprietà. Questo è il dilemma della proprietà, molto condizionante nella generale economia del lavoro”, ha proseguito.  “E se chi non ha proprietà è estremamente condizionato circa il lavoro, tutti i nullatenenti, i poveri, i migranti si trovano ad affrontare una fatale precarietà”, fin dalla Genesi: Abele, così, “diventa il simbolo di tutti gli scartati del mondo. E di tutti quelli che vengono sfruttati come manodopera senza che possano godere dignitosamente del frutto del proprio lavoro, come Dio godeva delle sue creature, nate dalle sue mani. Abele sono gli ebrei schiavi in Egitto; essi erano divenuti un incubo per Faraone, benché avessero, orami, un usus soli da ben 430 anni!”. “Senza il riposo ogni lavoro è schiavitù, furto dell’anima, malattia mortale, accecamento di umiliazione o di esaltazione”, ha ammonito Virgili a proposito della schiavitù del popolo di Israele in Egitto: “La schiavitù stupra la vita intera passando per il lavoro. Senza un patto politico e sociale, senza una scheletratura etica, il lavoro ha perso il senso e lo scopo della solidarietà ed ha portato alienazione”, la denuncia: “è diventato ansia di potere per i ricchi e precarietà assoluta per i poveri. Una economia sciagurata che spezza creato e creature, trasformando il giardino in un inferno”.

“Ogni step di civiltà – ha detto ancora Rosanna Virgili – comporta il valicare di un limite. Il problema è la frattura tra il limite ed il bene; tra la difesa della salute individuale e la ‘salute’ della fraternità; tra la tecnologia e la fragilità umana che insieme alla mano di un robot di ultima generazione, che l’aiuti a far le scale, ha bisogno di una mano che gli passi, ogni tanto, anche sulle spalle”. La biblista ha tradotto così il dilemma del rapporto umano con la tecnologia applicata al lavoro. La “tentazione”, ha spiegato, è di “rendere il lavoro teatro di un gioco finalizzato all’idolo del potere, del denaro, del mercato, della grandezza di uno solo, o di pochi, o di un popolo diverso e separato dagli altri”. “In una simile trappola cadono facilmente le menti umane e fioriscono mostri, che trasformano le persone da fine in mezzi, gettate via – messe in mobilità! – quando non servono più”, ha denunciato: “si stabiliscano sistemi di corruzione, quali cellule tumorali che infettano e si appropriano della giustizia e della vita della gente. Allora si fanno guerre per dare lavoro alle fabbriche di armi. Allora i governanti si fanno ‘complici di ladri’ prendendo regali e incassando bustarelle”. Politica e lavoro, in altre parole, “sono intimamente legate: il bene della ‘famiglia’ comune dovrebbe essere lo scopo del lavoro di ognuno. Nel vuoto di una politica vera per il lavoro, esplode il potere delle mafie, delle agenzie di usura di ogni sorta – banche comprese; delle chiusure dei confini ai migranti che – come accadde al Faraone d’Egitto – sono diventati un incubo”. Di qui la necessità di “stabilire una chiara gerarchia tra i beni materiali e il corpo. Che equivarrebbe oggi a dire: tra l’essere cittadini e l’essere consumatori; che l’essere umano ha uno stomaco, ma non è uno stomaco. Non è soltanto un mero soggetto o oggetto di bisogni materiali, ma un soggetto spirituale, fatto cioè per la relazione”.

Virgili, 28 ottobre 2017