Presiede Sr. Silvana
Rasello,
Presidente del Centro Italiano Opere Femminili Salesiane – Formazione Professionale (CIOFS-FP) Piemonte
Introduce Prof. Vittorio Pelligra, Ricercatore di Economia politica, Università di Cagliari
Verbalizza Dott.ssa Norma Alessio, Ufficio per la pastorale dei giovani e dei ragazzi, Diocesi di Torino
Dal Documento Preparatorio
Raccogliamo dai principi della Dottrina sociale della Chiesa alcuni spunti intorno alla prospettiva del lavoro umano.
1) Il lavoro non è solo un fare: la dimensione soggettiva del lavoro rende ogni lavoro dignitoso, perché è espressione della persona che, anche col suo fare, risponde con la sua libertà alle circostanze in cui si trova. Nella radice del fare, poi, non è implicita una mera esecuzione, ma una capacità inventiva e creativa che rende il fare (poiein) parente della poesia. Lavorare è bene, è una cosa buona anche se è difficile (bonum arduum). Ogni lavoratore è, a suo modo, un imprenditore.
2) Limpresa economica è una comunità di persone; nella sua essenza, è fatta dalle persone e per le persone. Se questo non si riscontra nella realtà, è perché la gerarchia logica si è capovolta: non si riconosce la priorità logica del lavoro sul capitale, il quale non può che essere frutto del lavoro.
Cattive regole e cattive politiche possono mettere in difficoltà la creatività libera e responsabile delle persone che lavorano e intraprendono. Anche se non è ragionevole aspettarsi che la crescita del nostro Paese possa miracolosamente ripartire da qualche meccanismo economico o politico, bisogna fare di tutto affinché le politiche per il lavoro e lo sviluppo siano le migliori possibili.
Occorre discernere le grandi trasformazioni, difficilmente reversibili, che il nostro Paese ha attraversato e valorizzare il patrimonio delle piccole e medie imprese senza dimenticare limportanza delle grandi imprese e la necessità di politiche settoriali appropriate a rilanciare investimenti realmente produttivi. Allo stesso tempo va salvaguardato il risparmio familiare, oggi sempre più eroso dalla crisi economica perdurante. Da ultimo occorre leggere i bisogni e le potenzialità dei diversi territori, con particolare attenzione a quelli dellagricoltura, del turismo e dellambiente.
Tutto deve essere tentato, perché lesperienza della precarietà giovanile non sia vissuta in isolamento, con la probabile conseguenza di soffocare la giusta domanda di poter lavorare per il bene proprio e di tutti, trasformandola in muta rassegnazione o scomposta indignazione. Anche qui, le cattive politiche certamente fanno danni, mentre le buone politiche possono solo costituire la cornice che rende possibile liniziativa e lintraprendenza. Le politiche del lavoro possono e devono ancora fare molto per definire un quadro istituzionale di tutela delle condizioni di accesso al lavoro dei giovani; ma le occasioni di lavoro non nascono principalmente dalle politiche: nascono dal lavoro stesso. Solo degli adulti che vivono in pienezza il senso del loro lavoro possono a loro volta educare al senso e al gusto del lavoro. Occorrono tanti maestri del lavoro quotidiano, anche nelle sue forme più semplici, dal lavoro domestico a quello manuale; occorrono maestri di imprenditorialità e percorsi innovativi di formazione che accompagnino efficacemente i tentativi di intraprendenza giovanile.
Per la riflessione – Quale ruolo educativo possono svolgere la famiglia, la scuola, la parrocchia nel formare i giovani al valore della laboriosità e della responsabilità sociale? Quali scelte concrete può fare una famiglia per educare i più piccoli al lavoro? In quale modo la famiglia può essere responsabilizzata e aiutata nellopera di orientamento dei figli alla scelta di una professione?